Appendice pp. 504-513

SAN PAOLO APOSTOLO

 

1.

Dall’esortazione apostolica «Evangelii Nuntiandi» di Paolo VI

(nn. 45-46.75)

L’evangelizzazione con i mass media per predicare sui tetti;
lo Spirito nell’opera di evangelizzazione

Nel nostro secolo, contrassegnato dai mass media o strumenti di comunicazione sociale, il primo annuncio, la catechesi o l’approfondimento ulteriore della fede non possono fare a meno di questi mezzi, come abbiamo già sottolineato. Posti al servizio del vangelo, essi sono capaci di estendere quasi all’infinito il campo di ascolto della Parola di Dio, e fanno giungere la buona novella a milioni di persone.
La Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signo­re se non adoperasse questi potenti mezzi, che l’intelli­genza umana rende ogni giorno più perfezionati; serven­dosi di essi la Chiesa «predica sui tetti» (Mt 10,27) il messaggio di cui è depositaria; in loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini.
Tuttavia l’uso degli strumenti della comunicazione so­ciale per l’evangelizzazione presenta una sfida: il mes­saggio evangelico dovrebbe, per il loro tramite, giungere a folle di uomini, ma con la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno, di depositarsi nel cuore di ciascu­no come se questi fosse l’unico, con tutto ciò che egli ha di più singolare e personale, e di ottenere a proprio favo­re un’adesione, un impegno del tutto personale. Perciò, accanto alla proclamazione fatta in forma gene­rale del vangelo, l’altra forma della sua trasmissione, da persona a persona, resta valida e importante. Il Signore l’ha spesso praticata — come ad esempio attestano le conversazioni con Nicodemo, Zaccheo, la Samaritana, Simone il fariseo e con altri — ed anche gli apostoli. C’è forse in fondo una forma diversa di esporre il vangelo, che trasmettere ad altri la propria esperienza di fede? Non dovrebbe accadere che l’urgenza di annunziare la buona novella a masse di uomini facesse dimenticare questa forma di annunzio, mediante la quale la coscienza personale di un uomo è raggiunta, toccata da una pa­rola del tutto straordinaria […].
Dopo la discesa dello Spirito Santo, nel giorno della Pen­tecoste, gli apostoli partono verso tutte le direzioni del mondo per cominciare la grande opera di evangelizza­zione della Chiesa, e Pietro spiega l’evento come realiz­zazione della profezia di Gioele: «Io effonderò il mio Spi­rito» (At 2,17)… Paolo, a sua volta, è riempito di Spirito Santo (cf At 9,17) prima di dedicarsi al suo ministero apostolico, come pure lo è Stefano quando è scelto per esercitare la diaconia, e più tardi per la testimonianza del martirio (cf At 6,5.10; 7,55). Lo stesso Spirito che fa parlare Pietro, Paolo o gli altri apostoli, ispirando loro le parole da dire, discende anche «sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso» (At 10,44). «Colma del conforto dello Spirito Santo», la Chiesa «cresce» (At 9,31). Lo Spirito è l’anima di questa Chiesa. È lui che spiega ai fedeli il significato profondo dell’in­segnamento di Gesù e del suo mistero. È lui che, oggi co­me agli inizi della Chiesa, opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e condurre da lui, che gli suggeri­sce le parole che da solo non saprebbe trovare, predispo­nendo nello stesso tempo l’animo di chi ascolta perché sia aperto ad accogliere la buona novella e il Regno an­nunziato.
Le tecniche dell’evangelizzazione sono buone, ma neppu­re le più perfette tra di esse potrebbero sostituire l’azio­ne discreta dello Spirito. Anche la preparazione più raf­finata dell’evangelizzatore non opera nulla senza di lui. Senza di lui la dialettica più convincente è impotente sullo spirito degli uomini. Senza di lui, i più elaborati schemi a base sociologica, o psicologica, si rivelano vuo­ti e privi di valore…
Si può dire che lo Spirito Santo è l’agente principale dell’evangelizzazione: è lui che spinge ad annunziare il Van­gelo e che nell’intimo delle coscienze fa accogliere e comprendere la parola della salvezza (cf AG 4). Ma si può parimenti dire che egli è il termine dell’evangelizza­zione: egli solo suscita la nuova creazione, l’umanità nuova a cui l’evangelizzazione deve mirare, con quella unità nella varietà che l’evangelizzazione tende a provocare nella comunità cristiana. Per mezzo di lui il vangelo penetra nel cuore del mondo, perché egli guida al discer­nimento dei segni dei tempi che l’evangelizzazione disco­pre e mette in valore nella storia.

 

 

2.

Dalla lettera enciclica «Redemptoris Missio» di Giovan­ni Paolo II

(nn. 34-37)

Ambiti della missione ad gentes

L’attività missionaria specifica, o missione ad gentes, ha come destinatari «i popoli e i gruppi che ancora non cre­dono in Cristo», «coloro che sono lontani da Cristo» e la cui cultura non è stata ancora influenzata dal vangelo. Essa si distingue dalle altre attività ecclesiali, perché si rivolge a gruppi e ambienti non cristiani per l’assenza o insufficienza dell’annunzio evangelico e della presenza ecclesiale. Pertanto, si caratterizza come opera di an­nunzio del Cristo e del suo vangelo, di edificazione della chiesa locale, di promozione dei valori del regno. La pe­culiarità di questa missione ad gentes deriva dal fatto che si rivolge ai non cristiani. Occorre, perciò, evitare che tale «compito più specificamente missionario, che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua chiesa», subisca un appiattimento nella missione globa­le di tutto il popolo di Dio e, quindi, sia trascurato o di­menticato…
La missione ad gentes, in forza del mandato universale di Cristo, non ha confini. Si possono, tuttavia, delineare vari ambiti in cui essa si attua, in modo da avere il qua­dro reale della situazione.
a) Ambiti territoriali. L’attività missionaria è stata nor­malmente definita in rapporto a territori precisi. Il con­cilio Vaticano II ha riconosciuto la dimensione territo­riale della missione ad gentes, anche oggi importante al fine di determinare responsabilità, competenze e limiti geografici d’azione. È vero che a una missione universa­le deve corrispondere una prospettiva universale: la chiesa, infatti, non può accettare che confini geografici e impedimenti politici ostacolino la sua presenza missio­naria. Ma è anche vero che l’attività missionaria ad gen­tes, essendo diversa dalla cura pastorale dei fedeli e dal­la nuova evangelizzazione dei non praticanti, si esercita in territori e presso gruppi umani ben delimitati,..
b) Mondi e fenomeni sociali nuovi. Le rapide e profonde trasformazioni che caratterizzano oggi il mondo, in par­ticolare il Sud, influiscono fortemente sul quadro mis­sionario: dove prima c’erano situazioni umane e sociali stabili, oggi tutto è in movimento. Si pensi, ad esempio, all’urbanizzazione e al massiccio incremento delle città, soprattutto dove più forte è la pressione demografica. Già ora in non pochi paesi più della metà della popola­zione vive in alcune megalopoli, dove i problemi dell’uo­mo spesso peggiorano anche per l’anonimato in cui si sentono immerse le moltitudini.
Nei tempi moderni l’attività missionaria si è svolta so­prattutto in regioni isolate, lontane dai centri civilizzati e impervie per difficoltà di comunicazione, di lingua, di clima. Oggi l’immagine della missione ad gentes sta for­se cambiando: luoghi privilegiati dovrebbero essere le grandi città, dove sorgono nuovi costumi e modelli di vi­ta, nuove forme di cultura e comunicazione, che poi influiscono sulla popolazione. È vero che la «scelta degli ultimi» deve portare a non trascurare i gruppi umani più marginali e isolati, ma è anche vero che non si posso­no evangelizzare le persone o i piccoli gruppi, trascuran­do i centri dove nasce, si può dire, un’umanità nuova con nuovi modelli di sviluppo. Il futuro delle giovani na­zioni si sta formando nelle città.
Parlando del futuro, non si possono dimenticare i giova­ni, i quali in numerosi paesi costituiscono già più della metà della popolazione. Come far giungere il messaggio di Cristo ai giovani non cristiani, che sono il futuro di in­teri continenti? Evidentemente i mezzi ordinari della pa­storale non bastano più: occorrono associazioni e istitu­zioni, gruppi e centri speciali, iniziative culturali e so­ciali per i giovani. Ecco un campo, dove i moderni movi­menti ecclesiali hanno ampio spazio per impegnarsi. Fra le grandi mutazioni del mondo contemporaneo, le migrazioni hanno prodotto un fenomeno nuovo: i non cristiani giungono assai numerosi nei paesi di antica cri­stianità, creando occasioni nuove di contatti e scambi culturali, sollecitando la chiesa all’accoglienza, al dialo­go, all’aiuto e, in una parola, alla fraternità. Fra i mi­granti occupano un posto del tutto particolare i rifugiati e meritano la massima attenzione. Essi sono ormai molti milioni nel mondo e non cessano di aumentare: sono fug­giti da condizioni di oppressione politica e di miseria di­sumana, da carestie e siccità di dimensioni catastrofi­che. La chiesa deve assumerli nell’ambito della sua sol­lecitudine apostolica…
c) Aree culturali, o areopaghi moderni. Paolo, dopo aver predicato in numerosi luoghi, giunto ad Atene, si reca al­l’areopago, dove annunzia il vangelo, usando un linguag­gio adatto e comprensibile in quell’ambiente (cf At 17,22-31). L’areopago rappresentava allora il centro del­la cultura del dotto popolo ateniese, e oggi può essere assunto a simbolo dei nuovi ambienti in cui si deve pro­clamare il vangelo.
Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando l’umanità rendendola — come si vuol dire — «un villaggio globale». I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale impor­tanza da essere per molti il principale strumento infor­mativo e formativo, di guida e di ispirazione per i com­portamenti individuali, familiari, sociali. Le nuove gene­razioni soprattutto crescono in modo condizionato da essi. Forse è stato un po’ trascurato questo areopago: si privilegiano generalmente altri strumenti per l’annunzio evangelico e per la formazione, mentre i mass media so­no lasciati all’iniziativa di singoli o di piccoli gruppi ed entrano nella programmazione pastorale in linea secon­daria. L’impegno nei mass media, tuttavia, non ha solo lo scopo di moltiplicare l’annunzio: si tratta di un fatto
più profondo, perché l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa «nuova cultura» creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai
contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici. Il mio predecessore Paolo VI diceva che « la rottura fra il vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca», e il campo dell’odierna comunicazione conferma in pieno questo giudizio. Molti altri sono gli areopaghi del mondo moderno, verso cui si deve orientare l’attività della chiesa. Ad esempio, l’impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione dei popoli; i diritti dell’uomo e dei popoli, soprattutto quelli delle minoranze; la promozione della donna e del bambino; la salvaguardia del creato sono altrettanti settori da illuminare con la luce del vangelo.
È da ricordare, inoltre, il vastissimo areopago della cul­tura, della ricerca scientifica, dei rapporti internazionali che favoriscono il dialogo e portano a nuovi progetti di vi­ta. Conviene essere attenti e impegnati in queste istanze moderne. Gli uomini avvertono di essere come naviganti nel mare della vita, chiamati a sempre maggiore unità e solidarietà: le soluzioni ai problemi esistenziali vanno studiate, discusse, sperimentate col concorso di tutti.

 

 

 

3.

 

Da meditazioni del servo di Dio Giacomo Alberione, sa­cerdote

(Archivio FSP, voce « san Paolo »)

San Paolo è il nostro modello

 

Noi ammiriamo san Paolo e ci ritornano alla mente tutte le sue grandi imprese. Noi ripetiamo i suoi viaggi apo­stolici nei quali egli attraversò il mondo portando dap­pertutto Gesù Cristo e Gesù Cristo crocifisso. Andò a cercare le anime: dai montanari dell’Oriente e dell’Asia Minore fino agli ateniesi, che erano seduti nel­l’areopago disputando di altissima filosofia; fino ai ro­mani, i grandi dominatori del mondo di allora: egli non è mancato a nessuno; anzi, come è stato detto, piuttosto i popoli sono mancati a lui.
È la profondità della sua dottrina, le sue virtù eroiche, le sue doti di scrittore, i carismi di cui era ornata la sua anima, la costanza, la fortezza, lo zelo e la dolcezza del suo tratto, che gli attirarono tante anime per cui egli fondò tutte le Chiese di cui leggiamo negli atti degli Apo­stoli e nella storia ecclesiastica.
Perché san Paolo è così grande? Perché compì tante ope­re meravigliose? Perché anno per anno la sua dottrina, il suo apostolato, la sua missione nella Chiesa di Gesù Cri­sto vengono sempre più conosciuti, ammirati e celebra­ti? Egli è uno di quei santi che giorno per giorno ringio­vaniscono e dominano e conquistano. Perché? Il perché va ricercato nella sua vita interiore. È qui il segreto… Quando vi è la vita interiore si diventa germe: la pianta rimane qualche tempo nascosta, perché tutto è chiuso in un embrione messo sotto terra; ma quando l’embrione si sviluppa, il germe si manifesta prima in una pianticella, poi in un arboscello, quindi in una grande e magnifica pianta. Ebbene, l’apostolo Paolo era di grande vita inte­riore: egli meditava… egli pregava. …In lui inoltre tro­viamo ogni sorta di virtù: virtù individuali, sociali e di apostolato; le virtù che perfezionano l’uomo in sé e quel­le che gli convengono nelle sue relazioni con gli altri uo­mini. Non a caso il Signore ci ha dato san Paolo come modello. San Paolo assomma in sé tutte le virtù di un apostolo, e prima lo zelo e la prudenza… In certe occa­sioni ci si mostra di ingegno veramente acuto, un uomo santamente furbo, di una furbizia così intensa che quasi quasi la si dovrebbe condannare come umana prudenza. Ma è ben altro. Egli amava il Signore e lo amava in mo­do pratico e sapeva servirsi all’uopo di tutti i mezzi leci­ti che Dio gli metteva a disposizione. Egli fu l’uomo del­la preghiera: lo spirito di orazione fu quello che lo sor­resse in mezzo a tanti patimenti e a tante tentazioni. Chi prega è forte.
… Scrisse 14 lettere. In sulle prime san Paolo pare un po’ duro, perché i suoi sono argomenti difficili: si richiede perciò dello sforzo, ma ogni volta che si fa un po’ di sfor­zo, egli riesce più comprensibile. Sarebbe brutta cosa che i figli di san Paolo ricevessero quattordici lettere dal loro padre e non ne leggessero neppure una …
Le lettere di san Paolo elevano quando ci si sente incli­nati a terra, dirigono verso la più alta perfezione e per voi hanno un linguaggio speciale. Se mi dite che provate difficoltà a comprenderle, io vi rispondo: «Dite a san Paolo: “Padre, spiegaci!”». Quali lumi deve dare san Pao­lo, quali grazie! Prima di tutto quella di far capire le sue epìstole.
Tutte le anime che presero gusto nel leggere san Paolo divennero anime robuste. Chi legge san Paolo, chi si fa­miliarizza con lui, viene ad acquistare, poco per volta, uno spirito simile al suo. La sola lettura degli scritti paolini ottiene la grazia di divenire veri paolini. … San Paolo è quindi il nostro modello. Egli si propone come esempio, però non un esempio assoluto, ma nella forma, nel modo in cui egli imitava Gesù Cristo, il quale è veramente l’esempio assoluto di ogni perfezione. Ecco, egli dice: «Mi sono fatto forma per voi» (Fil 3,17). Che cosa vuol dire forma? Quando voi avete composto un li­bro e lo avete impaginato, mettete la forma in macchina. E vuol dire che su quella forma, su quella composizione, si debbono stampare le copie. Egli è la forma su cui de­vono stamparsi i paolini, le paoline: tutti secondo questa divina forma. È per noi grazia: il Signore ci propone e ci mette davanti questo modello: conformatevi al vostro Padre; cioè siate stampati sulla medesima forma. Anche quando si ha da fare la statua di san Paolo, prima si fa la forma e poi si versa nella forma il cemento o il gesso. Consideriamo san Paolo come nostra «forma». È forma di ogni virtù ed è forma dell’apostolato. Imitare le sue virtù nell’apostolato, oltre che nella nostra vita privata… Vivere, cioè pensare, operare, zelare, come egli ha pen­sato, come egli ha operato, come egli ha zelato la salute delle anime, come egli ha pregato. Essere veramente paolini, paoline! Quindi il proposito generale: diventare veri paolini, vere paoline.

 

Disponibile in: Español